GLI UOMINI DELLA RSI: GRAZIANI
IL MARESCIALLO D'ITALIA RODOLFO
GRAZIANI
Dall'opuscolo a cura del Prof. Sinagra edito dal Circolo AN Tiburtino
Portonaccio
Introduzione
Nella prosecuzione della "Collana"
I personaggi della nostra storia, voluta e seguita con vigile cura
da Mario Mariella, con questa nuova pubblicazione viene proposto al ricordo
degli italiani immemori una delle figure più esaltanti della nostra
storia recente: il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani del quale quest’anno
ricorre il quarantesimo anniversario della scomparsa.
Nelle note storico-biografiche che seguono
sono riassunti con precisione i momenti essenziali della vita e dell’azione
del Maresciallo Graziani.
Null’altro potrebbe essere aggiunto ad
illustrazione della gigantesca figura di questo grande Italiano.
Ogni passaggio della Sua vita,
ogni scelta che Egli dal destino fu chiamato ad effettuare, ogni Sua decisione
e ogni Suo impegno militare e politico, non richiedono valutazioni o commenti
poiché ognuno di quei momenti, di quei passaggi o di quelle
scelte non intrinsecamente espressivi in assoluta chiarezza di un rigore
morale, di una coerenza e di una fedeltà al dovere e all’onore mai
più conosciuti dopo quell’epoca – tragica ed esaltante – che vide
nel Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani uno dei protagonisti più
fulgidi.
Momenti, passaggi e scelte – sempre
difficili e sovente dolorose – unicamente rivolti verso un unico interesse,
che fu quello solo che ispirò la vita e guidò l’azione del
Maresciallo d’Italia: la difesa della Patria e degli irrinunciabili interessi
nazionali.
Due furono le direttrici essenziali che
presiedettero, nel momento delle difficili scelte, all’azione del Maresciallo
Graziani: la rinuncia consapevole ad ogni Suo personale interesse e l’assoluta
indipendenza politica.
Altri Marescialli d’Italia fecero differenti
scelte e non senza ragione che la coscienza storica e il giudizio delle
generazioni a venire li abbiano consegnati in modo irrevocabile all’oblio
e alla esacrazione nazionale.
E’ quella coscienza storica ignorata nella
storiografia ufficiale.
Storiografia ufficiale unicamente rivolta
a costruire il falso e, con ciò, a fare violenza all’anima dei liberi
e dei forti.
Anche per questo appare meritoria questa
"Collana" rievocativa dei personaggi della nostra storia: pur
nell’assenza di ogni mezzo, per la sola generosità di uno stampatore-editore,
essa cerca in ogni modo di rendere giustizia a Coloro che furono e sono
colpiti dalla violenza dei vincitori sui vinti; dalla violenza di quanti
pretendono condannare all’oblio figure irripetibili come quella del Maresciallo
d’Italia Graziani, per non vedere riflessa i Esse al loro cospetto, la
loro vita, la loro miseria morale, il loro tradimento assoluto; per continuare
a nascondere, con l’arroganza della falsità consapevole, quella
bassezza che condusse molti a preferire il loro personale tornaconto alla
salvezza della Nazione nella tragicità della sconfitta militare
e politica.
Con questa Collana si vuole contribuire,
con tenacia irresistibile, a ristabilire, pur con un granello di sabbia,
la verità storica.
E’ uno sforzo immenso: a fronte dello
strapotere delle Case editrici ufficiali che consapevolmente si rendono
strumento di falsità, ci si oppone con la sola forza della verità
e con la sola volontà di servire la Nazione, in uno sforzo gigantesco
che nasce dell’impegno e dalla memoria dei liberi e dei forti; che nasce
dalla miseria esaltante di povere sedi dove quei liberi e quei forti si
adunano; che nasce nell’assoluta mancanza di ogni mezzo ma che pur tuttavia
nasce e grida la verità.
Ed è pur vero che nello scontro
tra il gigante e Golia vinse quest’ultimo.
Dire che il Maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani fu fascista – e lo fu – sarebbe certamente per Lui riduttivo.
Egli fu un Italiano, fu un Soldato e fu
tra quei pochi, che storicamente salvano le Nazioni e i popoli dal disprezzo
e dalla vergogna, che seppero consapevolmente accettare la sconfitta e
consapevolmente seppero difendere l’onore.
A che scopo questo sforzo rievocativo
dei personaggi della nostra storia?
Si, certamente è il pagamento di
un debito di gratitudine e riconoscenza poiché il Maresciallo d’Italia
Rodolfo Graziani difendendo l’onore della Patria, difese anche l’onore
delle generazioni a venire; e così difese anche il nostro personale
onore.
Ma non è solo un debito di riconoscenza.
Vuole essere anche lo sforzo indomabile
di ristabilimento della verità per avere alla fine una storia vera
e condivisa sulla quale costruire, nella pacificazione degli animi, una
nuova convivenza civile dove il reciproco rispetto prenda il posto che
ancora oggi è della violenza morale e politica,
Il Maresciallo d’Italia Graziani, come
molti altri grandi Italiani di quel periodo, come gli Eroi della leggenda,
come il Cavaliere antico, subì il carcere e la empia condanna del
vincitore sul vinto.
Ma non fu questa un’onta, tutt’altro:
il vile non potrà mai ferire il valoroso poiché mai potrà
a lui accostarsi.
Il carcere e la condanna dei vili sugellarono,
se mai ve ne fosse stato bisogno, la consegna del Maresciallo d’Italia
Rodolfo Graziani alla luce esaltante e inestinguibile della gloria, del
sacrificio e del ricordo commosso e grato di quanti, e ancor tanti, si
sentono italiani.
Augusto Sinagra
*****
1. Dalla nascita al 09 giugno 1940
Rodolfo Graziani nacque l’11 agosto 1882
a Filettino, paesino situato nella Valle dell’Aniene, ai piedi del Monte
Viglio.
Quarto di nove figli, dalla madre Adelia
Clementi ricevette un educazione all’insegna del sentimento religioso,
del culto del bene, educato verso mete nobili ed elevate.
Indirizzato dal padre Filippo nel seminario
di Subiaco, dove osservò "regole" rigide e tempranti,
già da allora Rodolfo mostrò amore per l’imprevisto e sete
di avventura.
Durante gli anni del liceo, in lui si
era sviluppata la tendenza alla carriera militare.
Al sacerdozio non aveva mai pensato se
non in qualche periodo di fugace esaltazione; non era molto attratto dalla
politica, anche se dal padre era stato educato ai principi monarchici.
Era più interessato alla questione
sociale: pensava infatti che un sistema di collaborazione fra capitale
e lavoro potesse avvicinare le classi con beneficio reciproco, senza bisogno
di ricorrere alla lotta di classe.
A causa delle ristrettezze economiche,
non potendo frequentare la scuola militare, si iscrisse al notariato nell’Università
di Roma e, contemporaneamente, fece il servizio militare di leva nel plotone
allievi ufficiali del 94° Regg. Fanteria in Roma.
Il I° maggio 1904 fu nominato sottotenente
e destinato al 92° Fanteria a Viterbo.
Verso il finire del servizio militare
si preparò per un concorso pubblico, ma nel momento in cui il suo
nome fu chiamato egli non si mosse: era come se una forza superiore lo
avesse trattenuto.
Fece così il concorso per ufficiale
effettivo, dove presentò un tema:"dimostrare come le Nazioni,
pur cadute nella rovina, possano risorgere, sempre che mantengano intatti
l’onore e l’amore all’ indipendenza e alla libertà".
Si realizzò così il suo
sogno: Ufficiale nel I° Reggimento Granatieri di Roma, era il 1906.
Nel 1908 fu destinato in Eritrea, dove
entrò in contatto con quel deserto che aveva già infiammato
la sua fantasia di adolescente, e dove imparò l’arabo e il tigrino,
per penetrare nel costume delle popolazioni locali.
Destinato al primo battaglione con sede
ad Adi Ugri, vi rimase quattro anni, dove ebbe modo di temprare il suo
carattere.
La sua esperienza coloniale terminò
alla fine del 1912 a seguito di un morso di un serpente velenoso che per
oltre un anno lo vide combattere tra la vita e la morte.
Nel 1913 sposò Ines Chionetti,
amica d’infanzia di Subiaco, e sei mesi dopo era già in Cirenaica
a combattere per lo scorcio della prima campagna libica; l’unica figlia
nacque alla vigilia della partenza, dell’allora Capitano, per la Grande
Guerra.
Ne rientrò con l’aureola dell’eroe:
più volte ferito, decorato al valore, promosso per meriti di guerra,
citato nei bollettini militari e nei diari storici delle varie grandi unità
a cui era appartenuto.
Aveva 36 anni: il più giovane colonnello
dell’Esercito Italiano! Già un alone di leggenda circondava il suo
nome e le sue gesta.
In quel periodo non vi era ancora il Fascismo;
e debbono così ricredersi, quanti affermarono ed affermano ancor
oggi che la sua carriera fu dovuta a favoritismi da parte di Mussolini
e del Regime.
Rientrato in Italia con il 61° Fanteria,
che egli comandava in Macedonia, tornò a Parma, sede normale di
quel Reggimento, dove prese contatto per la prima volta, suo malgrado,
con l’ambiente politico.
Finita la guerra, infatti, cominciò
il triste periodo 1919-21, dove vi furono agitazioni politiche, scioperi,
rivolte, rappresaglie.
Ci trovavamo in una situazione in cui:
la nostra vittoria era misconosciuta all’estero e rinnegata all’interno;
il sacrificio dei seicentomila morti e di milioni di mutilati e feriti,
vilipeso; fu dato ordine agli ufficiali di uscire disarmati; furono strappati
dal petto dei valorosi i contrassegni delle medaglie; furono invase le
caserme, distrutte le loro insegne, e i reduci colpiti a morte; furono
offese le bandiere della Patria!
A Parma ribolliva più che altrove
la lotta delle opposte fazioni, al punto che il Colonnello Graziani venne
segretamente condannato a morte dal comitato rivoluzionario, reo di aver
assunto un’ atteggiamento risoluto contro gli sbandati, per ricondurli
all’ordine.
Graziani in quei frangenti mantenne un’assoluta
neutralità fra i partiti, e dopo un anno passato nell’incertezza
" cedetti anch’io alla crisi che colpì allora tanti ufficiali
e chiesi di essere collocato in aspettativa per riduzione dei quadri".
Nell’ottobre del ’21, dopo due anni di
distacco, e dopo alcuni tentativi di darsi al commercio con l’oriente,
Graziani accettò la proposta, fattagli dall’allora Ministro della
Guerra, di andare in Africa.
In quell’anno era ricominciata la conquista
della Libia la cui campagna si era dovuta abbandonare nel corso della Guerra
italo-austriaca: Graziani, destinato a Zuara, ebbe inizialmente funzioni
puramente militari, ma quando le operazioni presero un raggio di grande
ampiezza, divenne uno dei migliori esecutori della politica interna.
Attenendosi a fermi principi di giustizia,
Graziani, nominato Comandante militare e politico dell’Altopiano del Gebel
Occidentale, si conquistò l’immenso ascendente e il prestigio, che
continuò a godere per tutta la vita, presso le popolazioni libiche.
Fino al 1929 egli, con il grado di Generale
di Brigata, continuò ad esercitare funzioni politico-militari nella
progressiva avanzata dapprima verso la Sirtica e poi verso Fezzan, fino
ad essere considerato "elemento prezioso" dall’allora Governatore
De Bono.
Nominato Vice-Governatore della Cirenaica,
dove la politica iniziale del Governatore Badoglio aveva prodotto un vero
disastro, tradusse in atto, con mano ferma, le direttive impartitegli,
riformando su nuove basi il corpo di truppe coloniali, imprimendo maggior
vigore alle operazioni, stroncando ogni connivenza con i ribelli.
Nel marzo 1934 il Generale Graziani consegnò
la Cirenaica completamente pacificata ed etnicamente riordinata nella sua
essenza al nuovo Governatore Generale Maresciallo Italo Balbo.
Tale operazione gli valse, da parte del
Ministro delle Colonie, la citazione quale benemerito della Patria nei
due rami del Parlamento.
Nel frattempo, nel ’32, era stato promosso
Generale di corpo d’Armata per "meriti speciali"; aveva allora
50 anni, e si trovava nel massimo vigore della mente e del corpo.
Tornato dalla Libia ottenne il comando
del Corpo d’Armata di Udine, il più importante sia per estensione
territoriale, sia per il numero delle unità.
Alla fine del ’34 il nostro Governo, dopo
molte esitazioni, decise di liquidare la situazione etiopica, divenuta
sempre più acuta; e nel febbraio dell’anno successivo, Graziani
ricevette l’ordine della sua nuova destinazione: Somalia come Governatore
e Comandante supremo delle truppe.
Incaricato del comando del fronte Sud
con compiti iniziali di difesa, ricevette quasi subito l’ordine, con l’appoggio
del Ministro delle Colonie Lessona, di procedere all’offensiva, cosa che
fu resa possibile con la motorizzazione delle truppe, effettuata soprattutto
con mezzi di trasporto e di manovra acquistati dagli Stati Uniti.
Il 9 maggio del 1936 il Governo italiano
proclamava l’annessione dell’Etiopia e la creazione dell’Impero e, quindici
giorni dopo, il Maresciallo Badoglio, primo Viceré, rientrava in
Italia lasciando la reggenza del Vicereame a Graziani suo successore, che
nel contempo veniva nominato Maresciallo d’Italia.
Graziani, contrariamente a quanto si credeva
in Italia, venne a trovarsi in una difficile situazione politico e militare.
L’immenso Impero non era occupato che
in piccolissima parte e, per giunta, si era nel mese delle pioggie che
rendeva quasi impossibile l’affluenza dei rinforzi e dei rifornimenti.
La situazione costituzionale del Viceré
non era brillante, poiché egli aveva tutte le responsabilità
ma scarso potere.
Con vigorose operazioni affermò
saldamente il nostro dominio e fece compiere grandiosi lavori pubblici,
che restano a tutt’oggi monumento delle capacità e della volontà
civilizzatrice dell’Italia fascista.
Il Viceré continuò a dirigere
l’Impero anche quando fu ferito, a seguito di un attentato nel febbraio
1937 in occasione dei festeggiamenti per la nascita del Principe di Napoli
da parte di alcuni "Giovani Etiopici" istigati dall’Intelligence
Service britannico; nel mese di dicembre fu sostituito dal Duca d’Aosta.
Dopo il suo rimpatrio dall’Etiopia Graziani
restò a disposizione del Governo: tenuto piuttosto in disparte,
anche a causa della sua grande popolarità che suscitava invidie,
gelosie e risentimenti.
Nel frattempo la situazione europea si
era andata aggravando, e solo dopo lo scoppio della guerra, il 3 novembre
’39, il Maresciallo apprese dalla radio della sua nomina a Capo di Stato
Maggiore dell’Esercito, a dimostrazione dell’imbarazzante situazione interna.
Il suo potere rimase comunque limitato
dal Maresciallo Badoglio in qualità di Capo di S.M. Generale da
una parte, e dal Sottosegretario alla Guerra dall’altra.
Nonostante le limitazioni, Graziani si
rese subito conto delle manchevolezze che caratterizzavano la nostra situazione
militare, di cui parlò apertamente a Mussolini.
Vi erano deficienze in ogni campo: materie
prime, produzione ed armamento.
Come è riportato nel suo libro
"Ho difeso la Patria", delle "otto milioni di baionette,
ne esistevano solo 1.300.000 e altrettanti fucili e moschetti mod. 1891";
ma le deficienze erano ben altre.
L’Esercito era attraversato da una crisi
morale; l’esistenza della Milizia Nazionale, che non era mai stata tollerata,
l’intromissione della politica nelle cose militari, l’obbligo del matrimonio
e la creazione di numerosi altri Corpi armati, estranei all’Esercito, costituivano
elementi che ne logoravano il prestigio e ne aggravavano la debolezza.
Al momento in cui Graziani assunse le
funzioni di Capo di S.M. era già in atto la seconda guerra mondiale,
anche se ci vedeva ancora non belligeranti, e le nostre Forze Armate si
trovavano nelle seguenti condizioni:
- L’Aviazione era scarsa ed invecchiata,
anche perché non aveva alle sue spalle un’adeguata industria. Il
bilancio era scarno e in risposta alle proposte di Balbo - che l’aveva
portata in alto con le sue imprese – ne era stato disposto l’allontanamento
con l’invio in Libia;
- La Marina, fiore all’occhiello, aveva
molte belle unità, ma era priva di aviazione specializzata e povera
di basi logistiche attrezzate;
- L’Esercito era numeroso, ma con un armamento,
un equipaggiamento, un addestramento certamente assai inferiori a quelli
dell’Esercito che aveva combattuto e vinto la grande guerra del 1915-18.
In tutto questo, infine, la nostra industria
bellica era debolissima; le nostre riserve di materie strategiche e di
derrate non esistevano quasi più.
Questo deplorevole stato di cose dipendeva
formalmente dal Capo del Governo, che per lunghi anni aveva esercitato
le funzioni di Ministro delle tre Forze Armate; ma la responsabilità
effettiva ricade storicamente sul Capo di Stato Maggiore Generale Maresciallo
Badoglio, il quale ricopriva tale incarico fin dal 1926 ed era, per legge,
il consigliere militare del Capo del Governo e l’autore dei piani di guerra.
Badoglio, inoltre, era presidente dell’Istituto
Nazionale delle Ricerche, creato apposta per scopi bellici, incaricato
di sovrintendere alla mobilitazione industriale, tecnica e civile; era
membro della commissione suprema per la difesa dello Stato.
A parte l’impreparazione, il Governo seguiva
una strana politica militare: noi compravamo dall’America con oro e valute
estere le materie grezze e rivendevamo i prodotti lavorati, e cioè
armi ed equipaggiamenti all’estero e soprattutto alla Francia ed alla Romania,
mentre le nostre FF.AA. ricevevano ben poco.
E mentre sembrava che l’Italia dovesse
seguire una politica di neutralità, i miracolosi successi germanici
, che avevano impressionato tutto il mondo e segnato una grandiosa sconfitta
della flotta britannica, portarono Mussolini ad orientarsi verso l’intervento.
Il Duce riteneva sicuro ormai che la Germania
avrebbe vinto la guerra e riteneva urgente che l’Italia le fosse al fianco,
sia per assicurarsi alcuni vantaggi, sia per frenare l’eventuale egemonia
tedesca; per suo ordine, tramite il Maresciallo Graziani, comunicò
a tutti i generali dell’Esercito che la guerra si sarebbe combattuta non
per la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania.
La politica del Governo, basata su presupposti
che non dovevano dimostrarsi reali, ci lanciò così in una
lotta mortale, senza adeguata preparazione diplomatica, politica e militare.
*****
2. L’Italia in guerra.
La guerra venne dichiarata il 10 giugno
del ’40 con lo spiegamento iniziale di difensiva assoluta sulle Alpi Occidentali.
Solo dopo dieci giorni si passò
da uno schieramento difensivo ad uno offensivo.
Le operazioni durarono tre giorni, ed
il 24 giugno i francesi sottoscrissero l’armistizio.
Ultimata la campagna del Fronte Occidentale,
Graziani tornò a Roma, e la sera del 28, mentre era nella sua tenuta
di Arcinazzo, ricevette una telefonata che gli annunciava la morte del
Governatore e Comandante Superiore in Libia, Maresciallo Balbo, avvenuta
a Tobruch, e l’ordine di partire subito per assumerne la successione.
Gli ordini erano precisi: invadere l’Egitto!
L’obiettivo era Alessandria, base della flotta del Mediterraneo Orientale
e chiave del delta del Nilo.
L’occupazione significava il dominio del
Mediterraneo centro-orientale e il sicuro dominio del Canale di Suez, con
prospettive politiche e militari illimitate.
Conquistare Alessandria sarebbe stata
per noi la vittoria; non conquistarla, la sconfitta più o meno lontana,
ma sicura.
Per compiere l’impresa, unica nella nostra
storia millenaria per diventare realmente una grande potenza mediterranea,
avremmo dovuto disporre di 5 o 6 divisioni fra corazzate e motorizzate,
mentre il nostro potenziale era di 73 divisioni armate con fucili mod.
1891: un "gregge" di uomini mal armati, destinati al massacro
ed al campo di prigionia.
Il nostro organismo militare, preparato
da un opaco conservatore come il Maresciallo Badoglio, non rispondeva minimamente
alle esigenze della lotta.
Il punto di vista, che Graziani aveva
più volte ripetuto in precedenza al Capo del Governo, era sempre
quello: poiché nonostante l’evidente impreparazione militare, ci
avevano gettati nella lotta, bisognava vincere e cioè compiere uno
sforzo concorde e sovraumano per riparare alla situazione di impotenza
cui ci aveva condotto una politica militare assurda e retrograda.
L’offensiva prevista per il 15 luglio
era impossibile a causa della mancanza dei mezzi più elementari
non solo per combattere, ma anche per vivere nel deserto, e così
egli ottenne un rinvio; ma il 25 agosto arrivava l’ordine da Mussolini
di avanzare in Egitto, motivato da altre ragioni politiche: i tedeschi
stavano per sbarcare in Inghilterra, e in vista delle trattative anglo-tedesche
noi saremmo rimasti fuori da ogni discussione se non avessimo avuto almeno
un combattimento con gli inglesi.
In un’iniziale offensiva nel settembre-ottobre
i nostri soldati si spinsero fino a Sollum, poco oltre la frontiera egiziana.
Ma né lo sbarco tedesco in Inghilterra,
né le trattative ebbero luogo, e tutte le richieste di automezzi
da parte di Graziani furono vanificate; in più dal Gen. Roatta egli
venne a sapere che per "ordine superiore" ben 25.000 automezzi
erano stati accantonati per una futura campagna contro la Jugoslavia!
La cosa molto strana fu che il nostro
Governo rifiutò per ben tre volte (3 settembre, 4 e 28 ottobre 1940)
l’aiuto da parte dell’alleato tedesco, che offriva non solo le divisioni
corazzate, ma anche autocarri speciali per il deserto.
La sera del 27 ottobre a Cirene, Graziani
apprese dalla radio dell’attacco alla Grecia.
Fu allora che comprese che il Governo
e lo Stato Maggiore avevano dato sfogo alla loro mania di azione nei Balcani
e che contro tutti, anche e specialmente contro la più decisa opposizione
dell’alleato, avevano gettato le poche risorse italiane non sul teatro
principale, quello del Mar Mediterraneo, ma in direzione eccentrica, ove
andavano a cercare gratuitamente nuovi nemici! Da quel momento fu chiaro
come la guerra italiana fosse perduta e le truppe d’Africa abbandonate
alla loro sorte.
La campagna di Grecia, iniziata e condotta
con incredibile leggerezza, si risolse in un disastro militare accompagnato
da un disastro politico e morale.
Il 4 dicembre, il Capo di Stato Maggiore
Generale, responsabile dell’operazione oltremare, Maresciallo Badoglio,
schiacciato dalla sue tremende responsabilità, venne sostituito.
Ma anche in Africa la catastrofe era imminente:
un deciso contrattacco inglese, appoggiato da mezzi corazzati e da una
forte aviazione, travolse le divisioni italiane riuscendo persino ad invadere
la Cirenaica e conquistarla.
Il morale delle nostre truppe, scosse
e disorganizzate, scese molto in basso, ma il comando inglese non potè
approfittarne per tentare la conquista della Tripolitania; uomini e mezzi
dovettero essere trasferiti in Grecia.
Dal principio alla fine gli italiani vennero
dominati non perché fossero mediocri soldati, ma perché,
anche se fossero stati i migliori di tutti, non avrebbero potuto a lungo
resistere alla superiorità di mezzi che gli inglesi potevano mettere
in campo.
A causa di questa superiorità le
battaglie assunsero il carattere di rese più che di combattimenti.
Mussolini, costatando la gravità
in cui si trovavano i nostri soldati, accettò l’offerta d’aiuto
di Hitler; un’armata tedesca, totalmente corazzata e meccanizzata, addestrata
per la guerra nel deserto, fu inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps,
affidata ad un brillante ufficiale: Erwin Rommel.
Nel frattempo Graziani chiese di essere
esonerato da ogni incarico e lasciò la Libia l’11 febbraio 1941.
Rimpatriato, il Maresciallo si dedicò
alla bonifica agraria della sua tenuta di Casal Biancaneve sugli altipiani
di Arcinazzo, schivando ogni contatto con personaggi ufficiali.
Nel novembre del ’41, il Duce, essendo
stata ristabilita, per il concorso tedesco, la situazione in Cirenaica,
credette giunto il momento di ristabilire anche il prestigio del Comando
Supremo, dando la responsabilità della sconfitta al Maresciallo
Graziani.
Fu istituita una commissione d’inchiesta
presieduta dal Grande Ammiraglio Thaon de Revel; la commissione doveva
agire segretamente, senza interrogare nessuno, e tanto meno l’interessato.
Ma il Maresciallo Graziani ne venne comunque
a conoscenza e scrisse a Mussolini chiedendo di presentare un memoriale
documentato di quanto in realtà era avvenuto.
Mentre la commissione aveva espresso un
parere completamente sfavorevole, la presentazione del memoriale troncò
ogni ulteriore procedimento; così nel gennaio ’43 il sottosegretario
alla guerra, Gen. Scuero, comunicò al Maresciallo che non esisteva
più un "caso Graziani", e che quindi la vertenza era esaurita.
Nel frattempo molti mesi erano passati,
e la situazione italiana diventava sempre più difficile sia politicamente
che militarmente: Graziani ne seguiva l’andamento con estremo interesse,
a tal punto che la caduta del Regime Fascista, il 25 luglio, non lo sorprese
più di tanto.
Lo stupì invece l’incredibile scelta
fatta dal Re di nominare il Maresciallo Badoglio a Capo del Governo, anzi
a dittatore militare!
Proprio Badoglio, principale responsabile
non solo della impreparazione delle Forze Armate, ma anche della insensata
condotta militare del primo e decisivo periodo della guerra.
Alla fine del Luglio del ’43 vi fu un
contatto da parte della Casa Reale, dove fu chiesto al Maresciallo Graziani
un suo parere sulla situazione attuale.
Il suo pensiero in sintesi fu:"come
il comunicato di Badoglio ha annunciato, la guerra deve continuare, l’onore
nazionale ci comanda di tener fede ad un patto solennemente sancito, a
meno che non vogliamo essere condannati dai nostri figli per aver trascinato
la Patria in guerra senza preparazione ed esserne usciti poi con la taccia
di tradimento.
Qualsiasi altro male doversi preferire
all’annientamento morale perché le Nazioni possono rialzarsi dalla
rovina, non dal disonore.
Meglio perdere tutto, fuorché
l’onore! Secondo me, il sovrano deve seguire questa linea, anche se dovesse
costargli la perdita della Corona".
Nel mese di agosto segnali provenienti
dalla casa Reale facevano prevedere una sostituzione di Badoglio proprio
con Graziani; ma gli avvenimenti che seguirono, cioè la firma dell’armistizio
di Cassabile e la fuga del Governo e della famiglia Reale, travolsero ogni
progetto.
*****
3. Graziani nella R.S.I.
Nel fatale settembre del 1943 cominciò
per il Maresciallo Graziani una nuova esistenza che lo vide assumere un
compito realmente politico quale mai fino ad allora, direttamente sostenuto.
Dopo la catastrofe dell’8 settembre egli
ricevette, sia da Mussolini, che nel frattempo era stato liberato dalla
sua prigione a Campo Imperatore , sia da parte del Governo tedesco, rappresentato
dall’ambasciatore dott. Rahn, l’invito ad assumere la carica di Ministro
della Difesa del nuovo Governo che si stava ricostituendo.
Il 9 settembre si costituirono le Forze
Armate Repubblicane con quadri ufficiali e sottufficiali di carriera esclusivamente
volontari.
Si stabilì che il trattamento fosse
in tutto uguale a quello delle truppe germaniche.
Il 24 dello stesso mese il Duce firmò
il decreto di nomina del Maresciallo a Ministro.
Sui motivi che spinsero Graziani a diventare
Ministro della Difesa della R.S.I. circolarono e circolano tutt’ora le
tesi più assurde e faziose: c’è chi sostenne che il Maresciallo
si recò ripetutamente presso l’ambasciata tedesca a Roma per offrire
i suoi servigi al tedesco invasore; chi disse che accettò l’incarico
perché spinto da sete di potere e da una smodata ambizione; chi
infine disse che fu costretto perché intimorito dalle SS che gli
puntarono una pistola alla nuca.
Tutte queste versioni false furono frutto
di odio scatenato dal nemico al fine di distruggere moralmente coloro che
dopo l’8 settembre continuarono a combattere nelle file della R.S.I.
La consacrazione di questo autentico Risorgimento
repubblicano per l’Italia avvenne al teatro "Adriano"
di Roma il 1° ottobre, quando Graziani, nel suo discorso ad oltre quattromila
ufficiali e valorosi combattenti precisò che: "chi vi parla
è il Maresciallo d’Italia il quale, durante la sua lunga vita di
soldato, ha conosciuto la mala sorte, il sole della gloria e l’ombra della
ingratitudine.
Adesso egli è chiamato dal destino
a stringere intorno a se gli italiani per cancellare la macchia della vergogna
con la quale l’infedeltà e il tradimento hanno deturpato la bandiera
d’Italia".
Tra i veri motivi che portarono Graziani
ad accettare l’incarico vi era anche quello di frapporsi fra il popolo
italiano incolpevole e l’alleato tedesco reso furioso dal tradimento subito,
allo scopo di riscattare l’onore militare degli italiani, che ormai era
leso dal tradimento e da una resa incondizionata firmata dal Governo Badoglio.
Il suo atteggiamento fu quindi dettato
interamente da sentimenti nazionali e da moventi altamente morali.
Graziani, con la collaborazione del Col.
Emilio Canevari, fece approvare da Mussolini un promemoria in cui si sosteneva
l’opportunità che l’Esercito da costituire dovesse rimanere "
Esercito Nazionale ", basato non solo sui volontari, ma anche sulla
coscrizione, e costituito da grandi unità da addestrare < ex
novo> nei campi di addestramento germanici; i quadri avrebbero dovuto
essere tutti di ufficiali volontari a domanda e bisognava evitare ad ogni
costo la guerra civile perciò le nuove truppe dovevano essere assolutamente
tenute fuori dalla politica e mai impiegate in servizi di ordine pubblico.
Sulla base di tali propositi, furono siglati
degli accordi con il comando supremo germanico che si concretizzarono il
16 ottobre: i tedeschi si impegnarono ad armare e istruire 4 Divisioni
italiane, di cui una alpina, e successivamente altre 4; una nona Divisione
corazzata doveva essere composta con personale italiano addestrato alla
scuola di motorizzazione tedesca.
Il Comando italiano si impegnava, inoltre,
a costituire un’unità di artiglieria da montagna, artiglieria contraerea
e Genio, per un totale di 30.000 uomini, che dovevano essere posti immediatamente
a disposizione del Maresciallo Kesserling.
Tutta la legislazione che portò
alla creazione delle FF.AA. era disgraziatamente apolitica e ben presto
dovette cedere il passo ad alcuni ambienti fascisti, che portarono alla
creazione della Guardia Nazionale Repubblicana, unità autonoma e
con proprio bilancio, che doveva, secondo il progetto iniziale, comprendere
semplicemente i Carabinieri rimasti volontari, con integrazioni per raggiungere
la cifra di circa 30.000 uomini scelti.
Invece la G.N.R. raggiunse la forza di
150.000 uomini; e in più si vennero a creare nelle varie Province
le "Brigate Nere", nelle quali furono inquadrati tutti
gli iscritti al Partito che non erano ancora alle armi.
Sulla base dei principi precedentemente
codificati il nucleo dell’Esercito Repubblicano venne costituito con 4
Divisioni di fanteria: Italia, San Marco, Monte Rosa e Littorio; esse vennero
armate e perfettamente addestrate e nell’estate del ’44, tornate in Italia
fra l’entusiasmo della popolazione, formarono, con alcune Divisioni tedesche,
l’Armata Liguria, che si schierò dalla Garfagnana al San Bernardo.
Altre unità vennero costituite,
e che compresero i 15.000 soldati italiani che, non avendo deposto le armi
all’atto della vergognosa resa badogliana, per 20 mesi costituirono il
presidio contro il nemico slavo alla nostra frontiera orientale.
L’Aeronautica si costituì con il
poco materiale di volo disponibile; la nostra piccola caccia si fece massacrare
per difendere le nostre città dai massicci e indiscriminati bombardamenti
nemici e cobelligeranti.
La Marina fu pronta alla ricostruzione
intorno alla bandiera tricolore della Decima Flottiglia Mas, che non fu
mai ammainata, perché continuò semplicemente la sua azione
di guerra senza tener conto della resa e senza aspettare che sorgesse un
nuovo governo.
Migliaia di giovani volontari accorsero
entusiasti.
L’apporto di valore dato all’Italia da
questi marinai e soldati non deve essere dimenticato da nessuno perché,
ogni giorno di più, appare evidente che essi si batterono per una
causa del tutto nazionale, quale non era certo quella degli aviatori che
Badoglio si vantò di aver mandato in aiuto a Tito e che servirono
a facilitare la conquista slava della Venezia-Giulia.
Il valore dimostrato dai giovani marinai
e soldati Repubblicani al servizio solo della Patria, in una lotta disperata,
sotto il motto "Per l’Onore della Bandiera", fu ed è
titolo di gloria ed ampio riconoscimento non solo dall’alleato germanico,
ma dal nemico stesso, che cavallerescamente volle manifestarlo.
Il Maresciallo Graziani assunse il comando
dell’Armata Liguria il 15 agosto ’44; quanto all’azione militare svolta
dalle truppe della Repubblica , si può così sintetizzare:
le truppe delle Divisioni Monterosa e Littorio, in unione con le truppe
germaniche, si opposero, sui passi alpini occidentali, al tentativo delle
truppe golliste francesi ed americane di invadere il Piemonte e la Liguria
dopo l’abbandono della Provenza, da parte dei tedeschi.
Alle dipendenze del Maresciallo Kesserling
furono posti, oltre alle truppe di artiglieria da montagna e del Genio
che si batterono sulle Alpi contro la 92ª Divisione americana e contro
le truppe brasiliane, circa 68 battaglioni "costieri" e "territoriali"
con circa 80.000 uomini.
Meritano uno speciale riconoscimento i
reparti che difesero la frontiera orientale contro le bande slave di Tito,
tra cui alcuni battaglioni Bersaglieri volontari: la Legione Tagliamento,
composta di reduci dalla Russia e di volontari, in gran parte studenti,
che difese fino all’ultimo il Friuli; i reparti della Divisione di Marina
Decima.
Nella Venezia-Giulia vi furono anche notevoli
reparti della G.N.R. che presidiarono Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume,
che la difesero fino all’ultimo e che caddero massacrati quasi totalmente.
Ormai le sorti della guerra erano segnate.
Le truppe anglo-americano erano alle porte
di Milano e di molte altre città del nord del Paese.
Le truppe italiane si preparavano con
dignità alla resa.
*****
4. Graziani prigioniero
La notte tra il 29 e il 30 aprile del
’45 il Maresciallo Graziani si arrese presso il comando del IV Corpo d’Armata
americano.
Dopo circa un mese di prigionia presso
il campo di Cinecittà in Roma, il 12 giugno fu trasferito in aereo
ad Algeri, presso il campo P.O.W. 211, come prigioniero di guerra, in ossequio
alla decisione della Corte Internazionale Permanente, che aveva riconosciuto
le truppe della Repubblica Sociale come "combattenti regolari".
Con eccezione al regolamento inglese,
Graziani fu accolto in una tenda nel quadrato ufficiali britannico, dove
ebbe la matricola A.A.252533.
Dopo un breve periodo trascorso presso
l’ospedale di Algeri, a seguito di problemi fisici, quando rientrò
al campo chiese ed ottenne di essere destinato al reparto ufficiali italiano.
Al suo arrivo gli fu assegnata la tenda
n° 21, ed egli divenne subito amico di tutti: chiunque poteva avvicinarlo
e conversare con lui familiarmente.
Condusse la stessa vita degli altri: nei
giorni festivi assisteva alla Messa comune; vestiva la divisa militare
italiana di panno grigio-verde, senza gradi né distintivi di medaglie
o ferite.
Il suo periodo di prigionia in Algeria
si concluse il 16 febbraio 1946 quando fu trasferito in Italia con l’appellativo
di prigioniero di guerra ( posizione esaminata dai Consigli per la punizione
dei criminali di guerra di Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Francia)
e non quale criminale di guerra, come invece amavano chiamarlo i suoi detrattori.
La stessa sera dell’arrivo venne internato
a Procida.
Nel carcere il Maresciallo trovò,
tra l’altro, alcuni dei suoi vecchi collaboratori: Gambara, Borghese, Canevari,
Villari, Di Battista ed Esposito.
A Procida Graziani migliorò lentamente
nel fisico, ma non nello spirito: camminava poco e si stancava in fretta
perché non era più abituato al movimento; anche durante la
mezzora d’aria traspariva il suo nervosismo e il desiderio di rientrare
in camerata.
Via via che veniva a conoscenza dei fatti,
degli atteggiamenti e dei giudizi relativi ai venti mesi della Repubblica
Sociale, si agitava nel rivivere la tragedia; ma il travaglio non determinò
dubbi in lui: sapeva e confermava di aver perseguito la strada dell’onore
e del dovere.
Durante il periodo della detenzione Graziani
scrisse e pubblicò tre volumi: "Ho difeso la patria",
"Africa settentrionale 1940-41", "Libia redenta".
Ogni suo racconto risultava essere preciso:
mai esaltazioni o dubbi; ricordò con esattezza fatti, nomi, episodi,
date; la chiarezza delle citazioni, dei riferimenti e dei giudizi era sorprendente.
Il 5 giugno ’48 al Maresciallo giunse
la citazione a comparire in giudizio il 24 dello stesso mese al palazzo
della Sapienza in Roma, davanti alla Corte d’Assise ordinaria.
In appena due mesi e mezzo fu tutto fatto:
istruttoria completa e rinvio a giudizio; mentre migliaia di altri politici,
con imputazioni meno complesse, giacevano in carcere da circa tre anni,
molti di essi senza nemmeno essere stati interrogati.
Il 2 maggio 1950, ultimo dei sei giorni
dibattimentali, Graziani pronunciò queste parole: "affermo
innanzi tutto ancora una volta che solo la volontà di tutelare e
difendere l’onore della Patria mi guidò nell’assumere la mia missione
nel settembre del ’43.
Oggi, nelle stesse condizioni, farei
altettanto.
[…] Dichiaro che la bandiera della
Repubblica Sociale fu sempre e solo quella della Patria.
Quelli che servirono sotto di essa
non possono quindi in nessun modo essere considerati traditori, ma hanno
fatto il loro dovere verso il Paese".
Alle ore 22.00 dello stesso giorno il
presidente Gen. Di Corpo d’Armata Beraudo di Pralormo, del tribunale Militare
Territoriale di Roma, dichiarò:
"Rodolfo Graziani colpevole del
reato di collaborazione militare con il tedesco posteriormente all’8 settembre
1943 e diminuita la pena per gravi lesioni riportate e per atti di valore
morale e sociale, lo condanna alla pena di anni 19 di reclusione dei quali
13 e 8 mesi condonati".
Graziani fu dimesso dalle carceri nell’agosto
del ’50 e, dopo una breve sosta a Roma, si trasferì ad Affile.
*****
5. La ricostruzione e il M.S.I.
Alla fine del processo, messo in libertà,
dovette da subito dedicarsi alla ricostruzione del suo patrimonio finanziario,
sminuito da rapine e devastazioni di ogni genere; riuscendovi in poco tempo,
grazie anche all’aiuto di alcuni fedeli amici.
Il suo carattere volitivo e la sua forte
personalità non potevano estraniarsi dalla situazione politica che
regnava nella Penisola.
Fu così che divenne il Presidente
della Federazione Nazionale dei Combattenti Repubblicani, che raccoglieva,
a scopi di pura e semplice assistenza, i soldati superstiti della R.S.I.
, i cui soci si trovavano in difficoltà finanziaria in quanto esclusi
dalle associazioni ufficiali, nelle cui file erano stati fatti entrare
invece tutti gli "altri combattenti" racchiusi nell’Art.
16.
Ma, da un lato il Governo, dall’altro
i partiti politici, gelosi e timorosi di vedere risorgere una personalità
così ancora popolare come quella di Graziani, fecero di tutto per
farne fallire l’opera.
Si arrivò addirittura al paradosso
allorchè il Ministro della Difesa, on. Pacciardi, emanò un
decreto che, riportandosi ad una vecchia legge fascista, toglieva a Graziani
le Medaglie al V.M., il distintivo di mutilato, ecc.
La lettera di risposta, potentemente sarcastica,
terminava con le seguenti parole: "[…] radiate pure dai ruoli autentici
soldati che alla Patria offrirono tutta la loro vita; cancellatene pure
i segni del valore, delle ferite, delle mutilazioni; privateli dei diritti
civili, politici e umani; togliete pure loro ed alle loro vedove ogni diritto
di pensione; metteteli in una parola alla fame, e, peggio ancora, alla
disperazione: ma per carità di questa stessa Patria alla quale essi
fecero olocausto di ogni bene, smettete voi di esserne, proprio voi, il
Ministro della Difesa."
Nel mese di marzo del ’52 il Maresciallo,
impiegando il suo prestigio, riusciva ad ottenere che tutte le varie associazioni
di combattenti si raccogliessero sotto il suo patrocinio per svolgere un’azione
coordinata.
Si arrivò così il 29 dello
stesso mese al Patto di Cassino, concluso presso la storica Abbazia in
ricostruzione.
Anche continuando a rimanere al di fuori
e al di sopra di ogni parte, estraneo alla politica militante per la quale,
del resto, non era affatto portato, e deciso ad occuparsi solo dei combattenti,
era purtroppo circondato dallo sciocco timore governativo e dall’odio cieco
dei partiti antinazionali, i quali non tralasciavano un’occasione per insultarlo.
Fu così che maturò l’idea
di prendere parte diretta nella politica portandovi il peso della sua enorme
popolarità: ed il 15 ottobre chiese la tessera del Movimento Sociale
Italiano entrandovi come semplice iscritto.
Era tuttavia difficile, con il prestigio
che lo circondava, che non divenisse punto di riferimento del partito.
Tanto era il suo carisma, che utilizzò
la sua autorevole parola riconciliatrice per impedire la secessione di
alcuni gruppi dell’Italia settentrionale.
Ma le sue buone intenzioni furono ben
presto travisate ed ostacolate: annoiato, accennò anche al ritiro,
ma la sua figura, di importanza nazionale ed internazionale, doveva rimanere
al di sopra di beghe di partito.
Il M.S.I., temendo di perdere un punto
di forza, lo convinse ad accettare la presidenza onoraria del movimento,
insieme con il comandante Borghese.
Ogni sua partecipazione in pubblico si
tramutava in un bagno di folla entusiasta.
Nei primi giorni del gennaio del 1954
si svolse a Viareggio il IV congresso nazionale del M.S.I. ed il Maresciallo,
in qualità di Presidente onorario del movimento, inviò un
suo messaggio che tracciava quella che sarebbe dovuta essere la linea politica
generale da seguire e gli obiettivi su cui puntare al fine di rilanciare
il movimento.
Purtroppo il nobile messaggio, a lungo
studiato, che conteneva la sintesi della sua lunga esperienza, destò
pochissima impressione fra i congressisti, preoccupati solo della imminente
elezione per il comitato centrale del partito.
In sintesi, Graziani indicava, come scopo
supremo da conseguire, la profonda modifica della Costituzione ciellenista,
la quale, con il suo regime di partiti, rendeva penosa e artificiosa la
vita politica dell’Italia.
Ma molti si trovavano ottimamente nel
regime della partitocrazia che concedeva ad essi, come deputati e senatori,
una condizione assolutamente eccezionale sia economicamente, sia giuridicamente,
quali privilegiati posti al di sopra di ogni legge.
Perciò apparve estremamente inopportuna
e inattuale l’idea di Graziani di una lotta per una nuova Costituzione.
Il Maresciallo, resosi conto dello stato
d’animo del partito, così differente dal suo, si ritrasse dalla
vita del movimento e, in generale, dalla vita cosiddetta politica.
Lo attrasse molto, durante l’ultimo periodo
della sua vita, lo studio della difesa dell’Europa, come si presentava
dopo la conclusione del Patto Atlantico, e i nuovi scenari di una nuova
ipotetica guerra.
Sulla difesa europea il suo studio fu
lungo e laborioso: egli possedeva una grande e completa documentazione
e si teneva quotidianamente al corrente della situazione e degli avvenimenti
in modo particolare per il problema militare, che naturalmente lo attraeva
di più.
Secondo il Maresciallo Graziani, "per
fare un Esercito europeo, occorrevano degli eserciti nazionali efficienti
dai quali trarre Divisioni e Corpi d’Armata da raccogliere in unità
superiori internazionali. […] naturalmente, se si potesse creare un’ Esercito
realmente europeo, composto da Germania, Francia, Italia, Benelux, si potrebbe
[…] sfidare un eventuale attacco russo con la certezza di poterlo respingere
vittoriosamente."
Sul finire del novembre del ’54 Graziani
cominciò a sentirsi male e dopo una serie di accertamenti medici
subì anche un’operazione che fece emergere complicazioni inattese.
Alle ore 06.00 del mattino dell’11 gennaio
1955 si spense l’eroe di tante battaglie, punto di riferimento per milioni
di combattenti e non.
Le sue ultime parole furono:"se
questa è la mia ora, vado sereno al giudizio di Dio, perché
ho sempre fatto il mio dovere."
Il feretro fu composto nella bara secondo
il suo ultimo comando: vestito della sdrucita sahariana, chiuso nel suo
pastrano, che aveva conosciuto le tappe del suo viaggio terreno.
Al suo funerale partecipò una folla
così enorme che era impossibile avvicinarsi alla chiesa.
Nessuna propaganda era stata fatta per
invitare la popolazione ad assistere: il tutto si era svolto nella massima
spontaneità.
Lungo il percorso del corteo funebre da
Roma ad Affile intere popolazioni si riversarono nelle strade per dimostrare
il loro rispetto per la memoria del grande Soldato d’Italia.
Le autorità politiche avrebbero
voluto sabotare la cerimonia e la dimostrazione, come avevano fatto in
cento altre occasioni.
Ma questa volta non osarono……
Dall'opuscolo a cura del Prof. Sinagra edito dal Circolo AN Tiburtino
Portonaccio
MEMORANDUM DEL MARESCIALLO
RODOLFO GRAZIANI AI SOLDATI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
Trascritto dal Cyberamanuense
Ichapu
Camerati Ufficiali, Sottufficiali, Soldati!
Le mie parole sono rivolte a quelli che lasciano il campo e a quelli
che restano; esse vogliono essere un severo monito. Concedetemi di precisare
che in questi 18 mesi di vita in comune nulla può essere sfuggito
alla mia osservazione anche se le mie particolari condizioni mi hanno impedito
di poter completamente condividere tutte le manifestazioni della vostra
vita nel campo. Tutti abbiamo subito e subiamo le ripercussioni dell’immane
tragedia e rovina nella quale la Patria nostra è stata travolta.
Ognuno di noi soffre ed ha sofferto per questa Patria che tanto abbiamo
amato ed intensamente amiamo perché piegata, ferita, calpestata,
battuta; quasi ognuno di noi soffre ed ha sofferto per i propri uccisi
o offesi e straziati in una guerra interna, fratricida che è il
maggior male che possa essersi abbattuto su di noi e sulla Patria nostra
in questa guerra. Ma lasciatemi dire con pari franchezza che non è
rinnegando la parte da noi presa nella tragedia che noi possiamo preparare
la nostra anima ad affrontare la vita avvenire; non dobbiamo dire: "Io
ho sbagliato! E’ durata appena pochi giorni". Così, nello stesso
modo, si sarebbe potuto dire: "Io ho indovinato! Sarebbe durata sempre
se la vittoria avesse arriso alla nostra parte, se questa nostra idea fosse
prevalsa". Ma è bensì nel riconoscere apertamente che
abbiamo operato come abbiamo operato perché credevamo che così
adempivamo alla nostra missione di servire i supremi interessi della Patria,
che questo nostro spirito agitato e sconvolto può trovare la forza
morale alla quale appoggiarsi nell’avvenire. Così pensando ed agendo
ci porremo più che mai sullo stesso piano morale dei vincitori;
in ogni caso assai di più che rinnegando un operato sancito dai
nostri fatti più o meno importanti e che nessuno può cancellare.
Non abbiamo commesso un delitto per degradarci: noi ci siamo battuti da
soldati d’onore contro altri soldati d’onore. Su questa base sarà
sempre molto difficile una nostra condanna al ripudio e al disprezzo della
Nazione se non addirittura al patibolo. L’"ubi consistat" del
nostro dovere per il futuro è segnato per noi dalla stessa fede
che, nel passato, noi abbiamo avuto nei destini della Patria: dobbiamo
ora proporci di operare nell’avvenire con tutte le nostre forze per la
ricostruzione della Patria e nel ricercare quella unione di piriti che
sola può portarci alla rinascita. Unione che raggiungeremo solo
militando liberamente nell’Idea che ci sembrerà migliore e più
consona agli interessi della Patria. In questo, la Francia ci insegna qualche
cosa in questo momento. Gli Italiani, per quanto divisi e sconvolti dalle
passioni di parte, saranno sempre fatalmente uniti secondo l’idea di Dante:
fino a che durerà la sua memoria non perirà quest’unione
spirituale come per gli inglesi sarà sempre simbolo di unità
il ricordo e la reverenza per il loro Shakespeare . Il mio monito per quelli
che rimangono nel campo è che da che mondo è mondo in guerra
si ottiene il rispetto del nemico vincitore col saper sopportare con dignità
e fierezza la propria sorte; che, quindi, anche in cattività dobbiamo
saper conservare la calma propria dei forti, rispettando disciplinatamente
gli ordini e non darci a vani ed inutili schiamazzi, con tentativi di fuga
a scopo più o meno di spavalderia sportiva, o ad ingiustificate
infrazioni. E’ questa una cosa che va tenuta presente da tutti, ed io,
Maresciallo Graziani vi raccomando di seguire il mio esempio per l’onore
della Patria e della razza! Camerati che lasciate il campo! Voi che sarete
i primi a rivedere la nostra cara Patria, baciate per noi questa sacra
terra di bellezza concessa da Dio. Camerati tutti! A voi sarà concessa
la gioia di riabbracciare le vostre famiglie. Non così posso dire
per me: la mia sorte è quanto mai incerta ed oscura ma se anche
dovessi toccare le vette del supremo sacrificio, io saprò affrontarlo
con quello stesso coraggio e con quella purissima fede con la quale innalzerei
la bandiera dell’amore; e del sacrificio gli italiani risponderanno dinanzi
alla storia.
CAMERATI! GRIDATE TUTTI CON ME AD UNA VOCE: ITALIA! ITALIA! ITALIA!
Algeri, 9 novembre 1945
(Questo disse il Maresciallo Graziani alla vigilia della partenza di
11.000 nostri soldati rimpatriati dalla prigionia).
I prigionieri erano tutti della Repubblica Sociale Italiana
(Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)